di Simone Casiraghi

Un momento di ascolto, confronto, condivisione e, per molti aspetti, un momento anche di liberazione. Il webinar organizzato da Huntington Onlus, mercoledì scorso 17 settembre, dal titolo “Una malattia, diverse facce. Storie ed esperienze di persone impattate dalla malattia di Huntington”, iniziativa nell’ambito del progetto europeo Moving Forward si è trasformato in un momento di rara intensità emotiva e collettiva. Un evento di grande successo, con 77 iscritti e fino a 45 partecipanti effettivi. Per alcuni, è stata la prima volta a un evento dedicato alla malattia di Huntington, rendendo la sessione ancora più significativa. Il webinar ha previsto la testimonianza di tre persone, due di loro hanno condiviso le loro esperienze personali con il test genetico: una risultata positiva, una negativa. La terza persona, moglie e caregiver, ha dato la sua visione nel rapporto con la malattia dal ruolo di partner.
Non un semplice appuntamento informativo, quindi. Ma un’occasione in cui la voce di pazienti, fratelli, figli e caregiver è diventata strumento di riconoscimento reciproco, il cuore dell’intera narrazione. È stata un’occasione per “mettere in comune frammenti di storia”, ha poi spiegato in chiusura Elisabetta Caletti, presidente dell’associazione Huntington Onlus: “Ci si è resi conto che condividere significa alleggerire il silenzio e l’isolamento che spesso accompagnano l’arrivo della malattia in famiglia. È faticoso, ma insieme possiamo provare a ricomporre almeno in parte la complessità dell’Huntington”.
Un passo per costruire un senso di community
Sin dall’apertura del webinar, Claudia Villa, coordinatrice per l’Italia del progetto europeo Moving Forward, ha posto al centro la necessità di costruire uno spazio tutelato: “Se non volete mostrarvi, nessun problema: qualcuno leggerà per voi le domande in forma anonima”, e ponendo subito l’accento sul senso di comunità che si voleva creare, sul bisogno di creare un ambiente sicuro, dove si sarebbe potuto parlare senza paura, protetti da un contesto di rispetto reciproco.
Poi la parola è passata ai veri protagonisti della serata, persone con esperienze differenti: un figlio con test genetico negativo: “Mi ritengo fortunatissimo, ma è più difficile tenere dentro queste emozioni che condividerle. Credo che un webinar del genere serva proprio a convivere con un fardello che ci accomuna. Alla fine siamo tutti un po’ parenti, legati da questo gene”. Un testimone che ha ricevuto un esito positivo del test genetico. “Avevo cinque anni quando mamma si è ammalata, ricordo la destabilizzazione di quel tempo. Ma oggi so che non siamo soli: la famiglia, le associazioni, persino un congresso a Varsavia mi hanno fatto capire che esiste una rete. Io sono sempre stato una persona che racconta: penso che condividere faccia bene, nascondere no”.
Le fatiche ricche di emozioni dei caregiver
Una psicologa, moglie di un malato, ha invece ricordato la trasformazione seguita alla diagnosi: “All’inizio c’era tanta rabbia, perché non riconoscevo più mio marito. Ma con il nome della malattia la rabbia è svanita, lasciando posto all’amore, a una grande tenerezza. Per un caregiver è sempre lunedì – ha detto – ogni giorno inizia con fatica, ma ci sono anche momenti nutrienti, come il pranzo della domenica insieme”. E sul vivere in modo positivo questa dimensione, si è parlato di un incontro “ricco di emozioni”: “Mi ha colpito la positività con cui un ragazzo ha affrontato il presente, senza farsi schiacciare dall’incertezza del futuro. Questa capacità di vivere il “qui e ora” è un antidoto allo stigma e alla paura. Non possiamo sapere come si manifesterà la malattia, ma non possiamo nemmeno perderci la bellezza dell’oggi”.

La seconda parte del webinar, organizzato con stanze virtuali protette dove ogni testimone guidato da psicologi ha potuto esprimersi in spazi più intimi di confronto. Un momento di 30 minuti in cui ogni storia che veniva raccontata ha raggiunto le dimensioni più personali, emotive e profonde della relazione e delle conseguenze del rapporto con la malattia. E con gli altri, perché la malattia è considerata un’esperienza collettiva che trova senso proprio nel confronto. Chi ha parlato ha trovato sollievo nell’essere ascoltato senza giudizio, chi ha ascoltato ha riconosciuto nelle parole degli altri una parte della propria vita. E così si è capito che lo spazio di tempo a disposizione è stato troppo breve: il coinvolgimento e l’occasione di confronto e di condivisione sono stati tanto importanti e unici quanto intimi. Per questo meritavano di poterli vivere insieme ancora un po’ di più.
Il presente senza farsi schiacciare dal futuro
Molti i temi emersi e trasversali alle diverse situazioni personali. Li hanno raccontati apertamente al termine del webinar sia i moderatori psicologi dei confronti, sia gli stessi testimoni. L’importanza di costruire reti di assistenza e di supporto:
“Condividere le difficoltà ma anche gli aspetti positivi con familiari, amici, colleghi o persino negozianti significa sentirsi riconosciuti, validati dagli altri, riconosciuti nelle proprie fatiche. È fondamentale”.
Si è parlato di una lezione di vita: “Un ragazzo positivo alla malattia ha dimostrato che si può vivere il presente senza farsi schiacciare dal futuro. Questa positività è un antidoto allo stigma e alla paura”. Si è insistito molto anche su una parola emersa: trasformazione. “Il caregiver cambia insieme al malato. La sfida è mantenere lucidità ed equilibrio, ma la trasformazione può contenere anche momenti di bellezza. Sono stati definiti “spazi nutrienti”: attimi che nutrono sia chi cura che chi è curato.
La parte più sorprendente è arrivata al termine, quando gli stessi testimoni hanno condiviso le loro sensazioni dopo aver parlato davanti a tutti.
“È stata un’esperienza arricchente. È stato bello, come sempre, potersi confrontare con qualcuno che capisce davvero cosa stai vivendo. Parlare ti fa imparare sempre qualcosa di nuovo”. C’è chi ha vissuto quel momento con una sensazione liberatoria: “Ero in ansia all’inizio, ma appena ho iniziato a raccontare mi sono sentito come a casa. È stato bellissimo ricevere messaggi da persone che sanno e conoscono la mia posizione. È un sentirsi accolti”.
Condividere per riascoltare la propria storia
Ma c’è anche chi ha voluto restituire il valore riflessivo della condivisione:
“La vita è narrazione, e condividere significa rivedere e riascoltare la propria storia. È un modo positivo di riappropriarsi delle parole che usiamo. Ogni volta che si condivide si riceve molto più di ciò che si dà”.
Parole che hanno fatto capire a tutti la percezione più chiara di ciò che era accaduto: raccontarsi non era stato solo uno sfogo, ma un atto generativo. Una liberazione che ha reso ciascuno più leggero, ma anche più consapevole.
La serata si è conclusa con un ringraziamento corale. “Siamo già una community – ha detto ancora Claudia nel ringraziare tutti –. Questo è il nostro primo passo. Spero che oggi vi siate sentiti meno soli”. E ha chiuso i lavori rilanciando un augurio: “Riscopriamo i valori della solidarietà e dell’unitarietà. Devono essere al primo posto, per costruire legami saldi fra famiglie, associazioni e società”.
L’associazione ora guarda avanti: la prossima settimana a Bucarest si terrà il congresso europeo sull’Huntington, dove anche Huntington Onlus sarà presente con una delegazione. “Un’occasione per connettersi e portare a casa nuove informazioni e nuove energie”, ha spiegato Claudia in chiusura. I riscontri positivi hanno ribadito l’importanza di questi momenti per costruire comunità, creare connessioni e offrire sostegno. Il webinar ha infatti lasciato dietro di sé un’eredità preziosa: la prova che la malattia, pur nella sua durezza, può diventare terreno di comunità, narrazione condivisa e persino terreno di rinascita. La sensazione diffusa tra i partecipanti è che parlare faccia bene, che il racconto alleggerisca e liberi. In quelle parole, raccontate e ascoltate e in quelle emozioni scambiate, il dolore si è trasformato in legame, la solitudine in comunità, la rassegnazione in speranza. Si è respirata la consapevolezza che aprirsi all’esterno non significa esporsi, ma guadagnare forza.