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I TRATTAMENTI FARMACOLOGICI PER L'HUNTINGTON, DI ALESSIA TARDITI

(da AICH Milano Notizie, n. 1, 2007)
Le attuali terapie farmacologiche per la Corea di Huntington hanno l’obiettivo di contrastare e alleviare i sintomi, non essendo in grado di prevenirne la comparsa né di eliminarne la causa. I farmaci oggi disponibili mirano infatti a diminuire i disturbi psicologici e i sintomi motori, mentre non sono ancora disponibili farmaci che possano agire sul deficit cognitivo.
Depressione, irritabilità, apatia e disturbi ossessivi vengono controllati con farmaci antipsicotici, antidepressivi e stabilizzanti dell’umore, quali le benzodiazepine (es. alprazolam), gli antidepressivi triciclici (es. imipramina) e i neurolettici (es. olanzapina). Questi farmaci sono spesso usati in combinazione e mostrano buoni risultati sul controllo dei sintomi psichiatrici soprattutto dell’irritabilità, ansia e depressione. Provocano spesso come effetto collaterale sedazione e assuefazione. Alcuni pazienti rispondono meglio a una terapia a base di farmaci che agiscono a livello della serotonina, gli SSRI (es. paroxetina) e di antidepressivi triciclici; questi farmaci possono infatti essere meglio tollerati dai pazienti rispetto a benzodiazepine e neurolettici a parità di efficacia. In alcuni casi i farmaci usati per il controllo dei disturbi dell’umore hanno anche effetto sulla disfunzione motoria che caratterizza la malattia. In particolare l ‘efficacia sul controllo dei movimenti di alcune benzodiazepine e di alcuni inibitori della trasmissione nervosa a livello centrale (inibitori della trasmissione di dopamina e glutammato) è documentata da anni di utilizzo. Sono purtroppo altrettanto noti anche i possibili pesanti effetti collaterali quali sintomi Parkinson-simili, disturbi dell’equilibrio, apatia a distonia tardiva.
L’aloperidolo invece è un neurolettico per il controllo sia del disturbo psichiatrico che motorio di largo impiego anche se sono stati registrati casi in cui gli effetti collaterali, sindrome parkinsoniana, depressione, hanno peggiorato l’evoluzione della sintomatologia nel tempo.
Rispetto alle terapie attuali, le strategie del domani mirano ad una terapia che protegga i neuroni dalla morte cellulare o ne ritardi la degenerazione attraverso approcci farmacologici o terapie riparative, quali il trapianto cellulare, contrastando in tal modo l’insorgere e il progredire della malattia. Dal momento in cui viene individuato un potenziale target farmacologico al momento in cui si rende disponibile un farmaco, passano molti anni e vengono testate e scartate molte molecole. Tramite le prime fasi precliniche su modelli cellulari e animali vengono selezionate le sostanze con una migliore attività, ma spesso quando si passa alla fase clinica nell’uomo molte molecole vengono scartate perchè non attive o troppo tossiche. Gli studi preclinici sugli animali infatti sono condotti con l’obiettivo di valutare sia la potenziale efficacia terapeutica sia la mancanza di tossicità della sostanza.
Nel caso dell’Huntington inoltre, la scelta di sperimentare un nuovo farmaco sui pazienti pone spesso il problema etico se sia corretto privare il paziente di parte dei farmaci che abitualmente gli vengono somministrati, per poter valutare l’efficacia di una nuova sostanza in studio. In aggiunta, così come l’ evoluzione della malattia varia da un paziente all’ altro, anche la risposta ai farmaci può variare e per poter stabilire l’efficacia di una sostanza servono studi che coprano diversi anni e siano condotti su un ampio campione di soggetti.
Nonostante tutte queste difficoltà, sono in corso studi di nuovi potenziali farmaci per l’HD sia sull’uomo sia studi di efficacia e tossicità sugli animali. Particolare interesse è rivolto a sostanze con attività non mirata alla trasmissione a livello centrale, quali il coenzima Q10, la creatina e il Miraxion. Lo studio CARE-HD coordinato dall’Huntington Study Group (HSG) e dal dottor Kieburt negli Stati Uniti ha mostrato su un ridotto numero di soggetti che il CoenzimaQ, attivo nei processi di produzione dell’energia intracellulare, può rallentare la progressione della malattia, risultando ben tollerato, come stabilito tramite uno studio su controlli sani (Pre-2CARE).
Da queste osservazioni è stato progettato un grosso studio (2CARE) che prevede per prima cosa di individuare la dose ottimale del coenzima Q e priva di tossicità a lungo termine (tramite test sugli animali) per poi testarla su un elevato numero (>100) di pazienti HD per valutarne l’efficacia. Lo studio sarà condotto negli Stati Uniti e i pazienti saranno reclutati e seguiti in diversi centri sotto il coordinamento dell’ HSG. La creatina è un’ altra molecola coinvolta nella produzione di energia nell’organismo che ha dato risultati promettenti sia sull’animale e sia sull’uomo.
In particolare, il gruppo farmaceutico Avicena Inc. ha condotto uno studio di tollerabilità in cui ha individuato la dose ottimale e potenzialmente utile nei pazienti HD. In parallelo il dottor Hersch del Massachussets General Hospital e collaboratori hanno individuato che la creatina in tale dosaggio è in grado di raggiungere le aree cerebrali e sembra ridurre gli stress ossidativi al DNA come mostrato da una riduzione dei marker ossidativi nel siero. Dopo questi risultati è partito nel dicembre 2006 uno studio di tossicologia cui seguirà uno studio mirato a valutare l’efficacia della creatina in un significativo numero di pazienti.

Alessia Tarditi AICH

Alessia Tarditi si occupa della Corea di Huntington e in particolare dell’identificazione di markers periferici di malattia presso il Centro di Ricerca sulle Cellule Staminali e Dipartimento di Scienze Farmacologiche dell’Università degli Studi di Milano


Un caso particolare è quello del riluzolo, farmaco usato per la terapia della Sclerosi Laterale Amiotrofica che inizialmente era stato considerato un efficace principio attivo capace di contrastare i movimenti coreici senza effetto sui disturbi cognitivi, funzionali e altri disturbi motori. Studi successivi su un ampio numero di pazienti e su diversi dosaggi hanno mostrato l’inefficacia del farmaco al dosaggio tollerato e non tossico.
Inoltre la tetrabenazina, che reprime la trasmissione dopaminergica a livello centrale, è un farmaco che ha superato diversi trial clinici ed è in uso in America e Europa, ma in Italia non è ancora stato autorizzato il suo uso nella terapia dell’Huntington. Infatti i numerosi trial condotti pur mostrando la sua efficacia sul controllo dei movimenti, hanno anche evidenziato molti effetti collaterali quali sedazione, insonnia, depressione, ansia, sintomi Parkinson-simili e a una possibile sindrome neurolettica. Ulteriori valutazioni dei dati disponibili sono in corso in Italia per decidere se autorizzare il commercio e l’uso di questo principio attivo.
Particolare interesse era stato rivolto al Miraxion (eicosapenthaenoic acid, EPA) un acido grasso che in studi preliminari sui pazienti aveva mostrato un effetto neuroprotettivo e bassa tossicità. Recenti dati ottenuti in un ampio studio clinico su 600 pazienti HD Americani e Europei hanno purtroppo mostrato la mancanza di attività del composto e lo studio è stato interrotto.
Comunque, negli ultimi anni, la ricerca di base ha individuato diversi meccanismi che possono essere alla base della comparsa e dell’instaurarsi della malattia, legati direttamente o indirettamente alla presenza dell’ huntingtina mutata.
Gli sforzi della ricerca di base si stanno concentrando sul cercare di correggere farmacologicamente queste disfunzioni e in particolare l’alterazione della trasmissione centrale che controlla i movimenti, l’alterazione dell’espressione genica, la diminuzione di fattori indispensabili alla sopravvivenza dei neuroni (es. BDNF), la tossicità cellulare data da eccesso di ioni (es. il cliochinolo, chelante di rame e zinco, sembra migliorare fenotipo di topi HD). In questo campo la sperimentazione è ancora in fase preclinica su modelli cellulari e animali della malattia, con l’obiettivo di individuare molecole potenzialmente attive da poter testare e utilizzare in un futuro non troppo lontano sull’uomo.
In particolare risultati molto promettenti vengono da studi su modelli animali dell’attività degli inibitori delle iston deacetilasi; questi farmaci sono noti da tempo e già testati sull’uomo in quanto dotati di attività antitumorale. Ad un numero ridotto di soggetti HD è stato somministrato un inibitore delle iston de-acetilasi a dosi tollerate e sicure e si è rilevata una normalizzazione dell’espressione di alcuni geni che risultano disregolati nei pazienti huntington. Inoltre i moderni approcci terapeutici si possono anche avvalere dei progressi nelle conoscenze e nelle possibilità di applicazione delle cellule staminali o della invenzione di sistemi che possano essere impiantati nel cervello e rilasciare cocktail di sostanze benefiche.
 


 
IL LABORATORIO DI RICERCHE FARMACOLOGICHE DIRETTO DA ELENA CATTANEO
INTERVISTA A ELENA CATTANEO